Un socio di famiglia, fuori dall’operatività, storce il naso davanti ai benefit e agli stipendi dei parenti che gestiscono l’azienda. Poco importa che le sue quote oggi valgano il triplo.
Il problema non è nei numeri, ma nella confusione di ruoli. Chi è dentro l’azienda prende decisioni, gestisce rischi, ci mette la faccia ogni giorno. Chi è solo proprietario gode dei risultati, ma non può pretendere di controllare anche la leva gestionale.
Spiegare criteri, cifre o bonus serve a poco se manca la base: capire che contributo e compenso non sono la stessa cosa per tutti. E che l’equità non è sinonimo di uguaglianza.
Un’azienda che cresce ha bisogno di persone motivate, libere e ben pagate. Fermare questo meccanismo per mantenere un’apparente armonia familiare è come tenere il freno a mano tirato in autostrada.
Meglio separare le logiche aziendali da quelle ereditarie, prima che una scintilla rovini tutto.